LA TUNICA STRACCIATA - Tito Casini

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Re: LA TUNICA STRACCIATA - Tito Casini

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DOMENICA DI PASSIONE


Era la prima domenica di Quaresima e - domenica Laetare per voi - fu per me, come per moltissimi altri, domenica di passione. Pensavo di fatto alla Pas-sione (di Lui, e Lo vedo, ora, nell'immagine contro cui l'operaio non osò levare il piccone); pensavo a quel tratto del Vangelo di san Giovanni a cui la Chiesa, nei secoli, ha attribuito o meglio riconosciuto, sempre, tanto valore simbolico: «I soldati, poi, crocifisso Gesù, ne presero e si spartirono gli abiti, tra cui la tu-nica. La tunica era per altro inconsutile, tessuta tutta d'un pezzo, onde quelli dissero: - Non la stracciamo: tiriamo piuttosto a sorte a chi tocchi -. E così fecero, cosi adempiendo la Scrittura». Ebbene? Ebbene... dite pure che fu la febbre, Eminenza, o che la veste, intera o in pezzi, è comunque solo una veste, ma quel giorno io vidi voi, e tale siete rimasto nella mia mente, in atto di fare, sulla tunica inconsutile e insanguinata di Gesù, ciò che i soldati non osarono, ciò che nessuno aveva mai osato in ciò ch'essa significava. Vi vidi, e vi vedo, strac-ciarla, quell'una veste, figura e vincolo dell'unità dei credenti in Cristo, pas-sati-presenti-futuri, farla a pezzi, a brandelli, con una foga avente si direbbe dell'odio più che del confessato da voi disprezzo, che fa pensar davvero a un delirio, ma in voi e nei vostri, Eminenza!


Un anno e più è trascorso, infatti, dall'inizio di quella vostra Riforma (un anno e mezzo durante il quale la furia di frammentare e distruggere s'è fatta, per dirlo con Paolo VI, addirittura «capogiro»: i protestanti non sono arrivati a tanto nei loro più che quattrocent'anni) e noi stentiamo ancora a credere che sia stato possibile. Incredibile, è la parola; e ci chiediamo, Eminenza, che cosa diranno di questo vostro 7 marzo coloro «che questo tempo chiameranno antico»: voglia Dio - come speriamo - non tanto antico che non possiate sopravvivervi, in questo, come si sopravvisse, condannato e ravvisto, il vostro confratello e precursore di Pistoia. Diranno... si rida pure di me che ancora credo in queste cose... diranno che non per nulla si tolse al diavolo catena e collare, abolendo preci che un grande papa, Leone XIII, e un altro ugualmente grande, Pio XII, e uno grande del pari, Giovanni XXIII, avevan prescritto e riprescritto alla Chiesa e conservato gelosamente contro i conati sovvertitori di Satana. Certo è che, per sovvertire, l'ottima regola è dividere - Divide et impera: l'opposto dell'Unum sint - e a questo tende, a questo porta, Eminenza, la vostra Riforma, per altra che sia, e chi vorrebbe dubitarne? la vostra personale intenzione.


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Message par InHocSignoVinces »

Da qui il giubilo dell'Antichiesa, quel 7 marzo. Se non abbiamo sentito che in fantasia ghignar Lutero dal suo monumento a Worms - a cui cattolici del «dialogo» han di recente portato fiori - e mandarvi il suo grazie, abbiamo ben sentito, noi in persona, i nostri massoni rallegrarsi, in quei giorni: rallegrarsi come di una impensabile grossa vittoria graziosamente loro donata dal ne-mico stesso, la Chiesa, a coronamento di una lunga loro battaglia, condotta da poco anche in parlamento, contro una lingua che aveva, fra mille fulgidi pregi, un solo ai loro occhi difetto: d'esser la lingua della Chiesa, della sua unità, della sua cattolicità, della sua preghiera.


La storia insegna, fin dai primordi del mondo, che cosa sia, agli effetti dell'u-nità in ogni senso, l'unità della lingua. «La terra», nota la Genesi, «era tutta d'una sola lingua e d'una sola parlata», ed era la pace. La discordia fu e si chiamò Babele, «perché ivi fu confuso il parlare di tutti gli uomini», e furon le guerre. La Chiesa, «una di lingua», nella sua universalità, come «d'altare», fu perciò sempre vista dai popoli - e oggi più che mai, più che mai oggi stanchi di guerreggiarsi, più che mai anelanti all'unione, anelanti alla pace - come l'Antibabele, riconoscendosi da tutti nella sua lingua il cemento dell'unità da lei posseduta, da tutti auspicata. «Ex omni gente magnum vinculum unitatis: vincolo mirabile di unità fra tutte le genti». È Pio XI che così chiama il latino, riprendendo dai suoi antecessori un motivo che passerà ai suoi successori, tutti ugualmente gelosi di conservarlo alla Chiesa e per essa al mondo. «La Chiesa, infatti,» egli dice, «come colei che abbraccia tutte le genti, e durerà fino alla consumazione dei secoli, necessita per sua natura di una lingua UNIVERSALE, IMMUTABILE, NON VOLGARE: ... sermonem suapte natura requirit universalem, immutabilem, non vulgarem»: il latino, appunto, questa lingua, è lo stesso papa che parla, «densa, ricca, armoniosa, ridondante di maestà e dignità»; questa lingua «che a buon conto possiamo chiamar cattolica: dicere catholicam vere possumus»: parole che un altro papa ha fatto sue, aggiungendovi, al riguardo, quest'altre: «vincolo prestantissimo mediante il quale l'età presente della Chiesa mirabilmente si allaccia alle passate e future: vinculum peridoneum, quo praesens Ecclesiae aetas cum superioribus cumque futuris mirifice continetur».


Lingua, dunque, provvidenziale («lingua di Dio», si direbbe, come altri l'ha pur detta: «lingua qua locutus est Deus»), nello stretto senso del termine. Lo afferma espressamente lo stesso Pio XI, chiamando ancora il parlar del Lazio un genere di loquela «mirabilmente predestinato, mire comparatum» a servir la Chiesa, predestinata a sedere in Roma, «sede perciò dell'Impero, a questo similmente voluto: ad quem ipsa Imperii sedes tamquam hereditate pervenerit», ed è il pensiero di Dante, troppo noto perché se ne ripetano i versi.


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Message par InHocSignoVinces »

«LINGUA PREDESTINATA»


Non siate voi, archeologi del modernismo, fanatici delle «origini», a stupirvi di questo nostro risalir tanto in alto. Vi piaccia o no, la verità è che il latino mostra per tutti i segni la sua predestinazione a diventar la «lingua cattolica»: questo latino a cui Virgilio fa dir, profeticamente, già dalla Sibilla: «Ecco Dio!» («Ait: Deus! Ecce Deus!») e col quale e la quale annunzierà egli stesso il suo avvento («Iam nova progenies coelo demittitur alto»); questo latino che solo, a Gerusalemme, fra tanto clamor di accusa e di morte, lo disse e lo difese, per labbra romane anche femminili, innocente («Nihil tibi et iusto illi!» «Quid enim mali fecit iste?») e sul Calvario, per bocca d'un soldato di Roma, gridò, primo al mondo, la sua divinità: «Vere filius Dei erat iste!»


Conservatrice di quel Sangue, propagatrice, per sua missione, di quel grido, da portare «sino agli estremi della terra», la Chiesa fece sua quella lingua, facendone il segno e lo strumento di quell'«unità» ch'Egli aveva legato, con la sua più ardente preghiera, al suo sacrifizio. La fece sua e mantenne e difese con tanto più gelosa cura quanto più i suoi figli, moltiplicandosi e dilungandosi - universalizzandosi, dico, nello spazio e nel tempo - potevano, senza quel «vincolo», estraniarsi da lei e fra loro. La mantenne e difese - o piuttosto la fece amare, dotandola della più sublime poesia, delle più soavi armonie - soprattutto in ciò che per sua natura e definizione maggiormente lega, la preghiera, fedele al monito dell'Apostolo, cui non bastava che si onorasse Dio, dai cristiani, «con una sola anima», ma ben anche «con una sola bocca»: «ut unamimes, uno ore, honorificetis Deum»: a somiglianza, per così dire, delle schiere celesti, e quasi in coro con esse - lei, «immagine della città superna» - cui fa cantare a una sola voce, «una voce», nel suo stupendo prefazio trinitario e domenicale, la lode all'Eterno.


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Re: LA TUNICA STRACCIATA - Tito Casini

Message par InHocSignoVinces »

«Che idea sublime», dirà il De Maistre, il grande campione «laico» dell'unità della Chiesa, degno in questo di star con Dante, «quella di una lingua universale (il latino) per la Chiesa universale! Da polo a polo, il cattolico ch'entra in una chiesa del suo rito è in casa sua, in famiglia, e niente è forestiero ai suoi occhi. Giungendovi, egli ode ciò che udì tutto il tempo della sua vita e può mescolar la sua voce a quella dei suoi fratelli: li comprende, n'è compreso...» E lasciando la lirica per la filosofia e la storia egli aggiunge: «La fraternità risultante da una lingua comune è un vincolo misterioso di una forza immensa. Nel nono secolo, Giovanni VIII, pontefice troppo accondiscendente, aveva accordato agli Slavi la facoltà di celebrar nella loro lingua: il che può meravigliare chi ha letto la lettera novantacinque di questo papa, nella quale egli riconosce gl'inconvenienti di una tale dispensa. Gregorio VII revocò questo permesso, ma non fu più a tempo per i Russi, ed è noto quanto ciò sia costato a questo gran popolo»: vale a dir lo stacco da Roma e la caduta sotto la giurisdizione di «papi» che han potuto essere, in quanto capi dello Stato, capi al contempo della Chiesa e dei «Senza-Dio», un dei quali si chiamò Stalin.


La difesa che le minoranze alloglotte fanno del loro parlare, rispetto a quello statale, dice nell'ordine civile quale vincolo di fraternità, d'unità, di attaccamento alla madre-patria sia una lingua comune (ben lo vediamo noi italiani tra i nostri popoli di confine!) e così, nell'ordine religioso, è dei fedeli dei vari popoli nei riguardi della loro patria spirituale, dell'una e santa nostra madre Chiesa. Scisma ed eresia son sempre stati contro il latino, l'universale, per il volgare, il nazionale, salvo rimpiangerlo e invidiarlo davanti ai frutti ossia alla sterilità, vista in atto, dei tralci recisi dalla vite, in confronto di quelli che le restarono e restano uniti. Le lingue nazionali rappresentano, dove già il passaggio non è avvenuto, il primo passo verso le «chiese nazionali», ammesse e favorite e volute, con le lusinghe e le minacce, dai nemici - verdi o rossi - della Chiesa, ben consci che divisione e distruzione sarebbero per lei tutt'uno. È storia contemporanea, è storia odierna, che prosegue la recente e l'antica. Mindszenty non sarebbe, infatti, relegato, Beran non sarebbe qua in esilio, Wyszynski non sarebbe impedito, e tanti altri, loro e nostri fratelli, non sarebbero in prigione ma liberi e onorati e pagati se il loro cattolicismo non parlasse latino, quanto dir se la loro Chiesa non facesse capo a Roma ma a Budapest o a Praga o a Mosca o a Pechino. È altamente significativo, e dovrebbe farvi molto riflettere, che in Polonia - dove il Governo fa ciò che tutti sappiamo per nazionalizzare e così annientare la Chiesa - l'Episcopato, con a capo il suo cardinale, abbia respinto la vostra riforma, limitando la traduzione in lingua nazionale alla sola Epistola e al Vangelo.


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Re: LA TUNICA STRACCIATA - Tito Casini

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LATINO COME CORIANDOLI


«Unanimes, uno ore, una voce». E a onorar così Dio, nella maniera più degna, in questa predestinata lingua - una e universale; di ciascuno e di tutti, anche perché di nessuno in particolare; perenne, sempre verde, come l'olivo, «sempreviva», come la pianta di questo nome - la Chiesa, sua divina Sposa, compose, come si disse, componendo parole e note condegne, la più sublime liturgia, da svolgere in tempi quanto più si potesse tali che n'erompesse dai cuori il grido che fu del salmista: «Come belli, Signore, i tuoi tabernacoli!» E chi v'entrava, forestiero, per guardare e ascoltare, gli accadeva di rimanervi, fratello, per fraternamente adorare.


Non vi è certo ignoto, Eminenza, quanti, in passato, siano venuti alla Chiesa attraverso una chiesa: quanti - per dir con Dante - hanno seguito lo Sposo per amor della Sposa, vista nei suoi riti, nei suoi canti, nella sua pur esteriore bellezza. Né vi dovrebbe essere ignoto quanti, al contrario, oggi, dopo la vostra Riforma, se ne discostino, se ne allontanino, desolati, facendo proprio il pianto di Geremia: «Come s'è offuscato mai l'oro! Come il bel color s'è cambiato! È questa or dunque la città d'ogni bellezza, gioia di tutta quanta la terra?» Triste interrogativo per il quale io non vi dirò, Eminenza: «Dammi risposta» (come suona nella vostra versione il «responde mihi» di quel Gesù del Venerdì Santo che ha tanta ragion di chiedervi: «Quid feci tibi?») La risposta, infatti, voi ce l'avete già data, telecamera accanto, in quella vostra conferenza-stampa del 4 marzo 1965 nella quale la parola «riforma» (tipicamente protestante) tornò sulle vostre labbra con la frequenza e il piacere della parola «amore» su quelle dei fidanzati: se ho ben contato (ne ho il testo a mano), una quarantina di volte. Permettete che replichi, e, quale siete stato con noi, noi siamo con voi, non senza dirvi che nella vostra durezza a nostro riguardo noi riconosciamo sincero zelo (e vorremmo, in questo, il ricambio), come riconosciamo umiltà, intento di farsi tutto a tutti, piccolo coi piccoli, popolo col popolo (sia pure, a nostro parere, fuori di luogo e maniera), in ciò che ad altri è potuto sembrare addirittura una debolezza: le telecamere, a mo' d'esempio.


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Re: LA TUNICA STRACCIATA - Tito Casini

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Le telecamere, per l'appunto, su cui i vostri preti amano scherzare come se, invece di una inevitabile noia, fossero una vostra passione. Malignano, infatti, quei birichini (l'ho sentita l'altro giorno a Bologna), che, passato da questa vita all'eterna e non contento, come pareva, del Paradiso, non contento, parimente, del Purgatorio, vi si dicesse: «Eminenza, di qua non resta che l'Inferno...» E voi, dopo avere un po' riflettuto: «Ci sono, all'Inferno, le telecamere?» Malignano, ho detto, e maligno io a riferire, ma vi confesso che io stesso non ho pensato troppo bene di voi, dico del vostro gusto, del vostro senso del conveniente, dell'opportuno, imbattendomi più volte in voi, dico nella vostra immagine televisiva, giocondamente impegnato a tirar coriandoli con un vigore che giustifica la vostra permanenza in servizio nonostante la legge dei Settantacinque (Ad multos annos, Eminenza, se ci è permesso il latino): troppo, semmai, se vi è accaduto, come leggo sui giornali, proprio in quest'ultimo carnevale, di perdervi, nella foga, l'anello, a meno che non abbiate voluto applicare il nisi efficiamini al punto di giocar, sulla piazza, a ghinghinello ghinghinello, chi l'ha avuto, il mio anello, senza badare a quel detto che ammonisce di scherzare coi fanti (e sia pur coi Fanti) ma rispettare i santi, le cose sante... come sarebbe ai nostri occhi la dignità episcopale. La quale, sempre ai nostri occhi (e significa che non così può sembrare ad altri), non è parsa meno fuori di posto in quella grande sala di parrucchiere per signora dove pure vi abbiamo visto, sempre in tv, presente e sorridente a una gara di pettinature femminili, nella quale la vostra porpora faceva un innegabile effetto fra tutti quei pèttini e quei capelli in frenetico movimento.


Ai nostri occhi, e sarà magari il ricordo, sarà il confronto che mi accade di fare con un altro arcivescovo, che già fu il mio, il cardinal Dalla Costa (uno che andava verso il popolo, ora la gran parola, ma con tutt'altro stile), non vi taccio però che tali scene m'han disgustato, pur contribuendo a darmi risposta, per immagine, circa l'interrogativo di or ora: dico a capire come abbiate potuto buttare ai porci, con così allegra disinvoltura, le perle comunque messe in vostre mani di un patrimonio di fede, di pietà, di poesia, di bellezza al cui rispetto avrebbe potuto indurvi il rispetto non foss'altro degli altri, di quindici secoli di ammirazione e venerazione universale «Quae ignorant blasphemant: offendono ciò che non intendono»: parlo di gusto - si capisce - e sia detto a vostra scusante, di voi e dei vostri cooperatori nell'opera di picconatura, di distruzione del «vecchio», del «non funzionale», che da oltre un anno fervidamente procede.


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Re: LA TUNICA STRACCIATA - Tito Casini

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La scusante, per noi (e vengo alla vostra conferenza), voi la trovate, sorridendone, in una cosa che abbiamo, lieti di averla, e che voi vi gloriate, almeno in questo, di non avere: il sentimento. «Sono posizioni», voi dite delle nostre, «sentimentali; in fondo in fondo, sono posizioni sentimentali, le quali però cercano ovviamente delle giustificazioni non sentimentali» (rinunzio a contar le volte che aggettivo e sostantivo ritornano nel vostro parlare), e senza dir da rimbecilliti voi le attribuite, prevalentemente, all'età, facendone una debolezza dei sacerdoti che han festeggiato, diciam così, le nozze d'oro: «Anche tra il clero... c'è naturalmente una difficoltà in alcuni settori, specialmente nei sacerdoti di età più avanzata, ad accogliere facilmente questa riforma: rompere un'abitudine che da 50 anni... sussiste quotidianamente»; e all'amabile interruzione del moderatore Di Schiena per dirvi che voi, pur non essendo un galletto di primo canto, eravate un «innovatore», avete risposto che sì, voi lo siete: «Io sono innovatore»; che già lo eravate: «lo ero prima, io sentivo queste cose prima, quindi non mi costa farle». Non vi costa, e già, in parte, le facevate, come voi stesso ci avete detto, e abbiamo accennato, parlando della Riforma in quella Sala Borromini che doveva - nello «spirito» anticipatore che vi guidò nel derogare alla legge in atto - vedere e sentir la «messa yè-yè».


Non vi costa, e vi crediamo: voi siete infatti coerente, in questo, voi che non siete un sentimentale. Che dei sacerdoti, tedeschi, siano morti, come sapete, di crepacuore alla imposizione di lasciar per sempre, bruscamente, brutalmente, irragionevolmente, una Messa cui erano oltre a tutto legati i più dolci loro ricordi; che dei sacerdoti italiani, come io so, si siano sentiti il nodo alla gola e le lacrime fra le ciglia, quella mattina del 7 marzo, nel pronunziar le prime parole di un rito, il vostro, che pervertiva, ai piedi di un altare invertito, una tradizione da loro e da tutti amata come l'antica e mai vecchia, sempre buona «fontana del villaggio» (Giovanni XXIII): tutto questo è sentimento, forse sentimentalismo, per voi, e voi non avete questo complesso. Non lo avete mai avuto, e si deve, si può credere che neanche la vostra prima Messa (quel lontano 1914) vi commova, nel ricordo: che già quel latino vi desse noia: che, non convinto, chinaste di malavoglia la testa a tutte quelle riverenze cui le rubriche v'invitavano (e che ora avete sbandito, come non convenienti, forse troppo servili, sia pure nei riguardi di Lui, al «presidente» di un'«assemblea» democratica): che il ginocchio vi dolesse piegandosi, nel mezzo del Credo, a quell'«incarnatus est» che in noi sentimentali induceva pur sentimenti di meditazione e di adorazione: che fosse per i vostri orecchi un fastidio quel campanello che pretendeva, sonando al Sanctus, di rendere più festosa l'acclamazione, e a cui, nelle nostre campagne, si univano le campane continuando a sonare fino a ch'Egli non era venuto, non era sceso sull'Altare, così che tutti, anche fuori, nelle vie o nelle case, si unissero, sentendo, nell'osannare e adorare... Ah quel latino!


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Re: LA TUNICA STRACCIATA - Tito Casini

Message par InHocSignoVinces »

«SENTIMENTALI» E «INNOVATORI»


Quel latino doveva darvi noia davvero e sa Dio da quanto (la vostra nota cultura esclude che sia dal tempo, ossia a causa, dei latinucci, come avrebbe potuto essere per me) se, non contento di sentire e di agire, vi siete pur lasciato sfuggire, contro la Chiesa, al riguardo della sua lingua, parole che una maggior riflessione, un maggior rispetto avrebbe lasciato ai suoi nemici, massoni, marxisti e protestanti, anche se in clima di «dialogo» (il quale non è, da parte dei vostri, che un monologo penitenziale, che un Confiteor-peccavi-mea culpa-miserere, recitato in cinere et cilicio ai loro piedi, con profferte di riparazione e di amore che finiscono come ogni eccesso per nausear quelli stessi e allontanarli vieppiù da noi). Dire, infatti, come voi fate (e non una volta!) nella vostra conferenza, che il latino è «un diaframma... tra il sacerdote che presiede l'assemblea e l'assemblea stessa», parlate addirittura di «caste», di «caste» in chiesa, a cui la vostra Riforma avrebbe ovviato per l'appunto «togliendo ogni diaframma che poteva costituire una casta dotta, separata da una casta illetterata che parlava il volgare, mentre quest'altra casta parlava una lingua non volgare», è un plagiare il loro linguaggio (non dico il loro pensiero), è un rappresentare la Chiesa (fino a qui, fino a voi) come la nemica dei poveri, l'amica dei signori: è un dire, nel migliore dei casi, ch'essa aveva, fin qui, fino a voi, sbagliato, che non aveva capito un'acca, non aveva, quindi, fatto nulla per portare col culto le anime a Dio; e sì che ne ha avute, la Chiesa, anche prima di voi, delle persone intelligenti! e sì che la Chiesa s'è dilatata, prima d'oggi, prima di voi, nel mondo! e sì che ce n'è stati, in quindici secoli, dei santi, e che santi! servi dei poveri fino alla totale spesa di sé e innamorati di Dio fino all'estasi, fino al martirio: santi che, illetterati come un sant'Isidoro o letterati come un san Tommaso d'Aquino, derivaron da quella Messa la sapienza e l'umiltà, la carità e la pietà che li ha tutti e tanto innalzati!


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Re: LA TUNICA STRACCIATA - Tito Casini

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Dio vi perdoni, Eminenza, la distrazione, non soccorrendovi, non scusandovi in questo caso il «Quae ignorant» dell'apostolo, perché voi siete colto, voi non ignorate ciò che la Chiesa (senza chiamarsi «dei poveri» che non ce n'era bisogno) ha fatto contro le «caste», a bene del popolo: cose, appetto alle quali voi non siete - dico per i vostri amiconi «cattolici progressisti» - che degl'infimi, vacui, verbosi demagoghi, in coda e al rimorchio d'altri che in materia di demagogia son maestri e della vostra si servono per la loro, non senza farvi gli sberleffi o peritarsi, ch'è peggio, d'invitarvi, come quel tale Iliciov, a dar loro una mano per levar dal mondo la religione. Dio vi perdoni, e vi perdoni, direi, anche il popolo, l'«autentico popolo», come voi lo chiamate, che finora in chiesa non si sentiva affatto «casta» (nessuno infatti vi aveva chiesto questa Riforma, e non è stato «democratico» l'avergliela data, imposta, senza consultar, non che un laico, neppure un parroco), non si sentiva per nulla discriminato dai dotti, dai «signori», dal sacerdote stesso all'altare, coi quali parlava insieme la stessa nobile lingua, pari dunque a loro ma in alto, come ora in basso nella comunanza coatta di un «volgare» così volgare, ignobile e oltre a tutto oscuro, che un dei vostri, il Balducci, non ha esitato a chiamar «barbaro», e un altro, non meno vostro, il Fabbretti, a dichiarare «di una bruttezza inammissibile, intollerabile in una preghiera» e tale, quanto a chiarezza, da «esigere dal clero più volenteroso un'operazione necessaria e purtroppo grottesca: la traduzione non dal latino bensì dall'italiano» (ho sentito io una donna del popolo lamentarsi: «Con questa messa in italiano ora non si capisce più nulla»): roba, si sarebbe detto una volta, da Santo Uffizio, da considerare all'Indice, fra i libri «qui cultui divino detrabunt».


Quand'anche così non fosse, e sarebbe in ogni caso cosa meschina, piangevole, stante l'intraducibilità di quei testi - mostruosamente infatti tradotti, mai come qui eguale a traditi, per la legge della corruzione dell'ottimo - capolavori, in gran parte, di poesia e di canto, intelligibili e sublimi a qualunque orecchio non guasto, resta che voi, voi sì, inibendogli il latino, qualunque incontro col latino, lo avete umiliato, il popolo, e come! voi cattolici «progressisti» in realtà regressisti. «Tu sei ignorante», gli avete detto, «incurabilmente, irredimibilmente ignorante (per te non c'è scuola, in questo, all'insegna del Non è mai troppo tardi), e da ignorante noi ti trattiamo lasciandoti tale. Ma sta' allegro: come te tratteremo tutti: sarete tutti uguali nell'ignoranza», e questo è populismo del peggio, dico l'imitazione, in campo religioso, del peggiore, del più arretrato, del più goffo comunismo.


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Re: LA TUNICA STRACCIATA - Tito Casini

Message par InHocSignoVinces »

UGUAGLIANZA IN BASSO


Era il comunismo, tipicamente romagnolo, di un tempo, che al proletario, al contadino, all'operaio, non diceva: «Un giorno mangerai anche tu la bistecca, vestirai bene, ti scarrozzerai, ti divertirai, farai istruire i tuoi figlioli eccetera eccetera, come i signori»; ma: «Anche i signori noi li costringeremo, un giorno, a mangiare come te la cipolla, a lavorare nel campo o in fabbrica, a andare a piedi, abbassar tutti la testa, e zoca e manera, ciocco e mannaia, per chi tentasse di alzarla». Un comunismo fatto di odio - odio per una «classe», più che di amore per un'altra - che dell'odio si vale ancora ma al servizio di un più attraente programma. Chi rivendicava, un tempo, «la terra ai contadini» dice oggi: «La terra ai signori, se gli piace di lavorarsela», e come i signori vuol mangiare, vestire, divertirsi, abitare una bella casa, con qualche quadro e mobile antico, come ci vuole: innalzare, insomma, e in tutto, il proprio livello. Livello culturale, anzitutto - «Non in solo pane vivit homo»: essi lo han capito, sia pure in parte - e son figli dell'«autentico popolo», in ogni ordine e grado di scuola, i più volenterosi studenti. E voialtri?


Voialtri, triste a dirsi, li avete considerati e trattati, con la vostra liturgia «proletaria», se non vogliamo dir «classista», col criterio deprimente e umiliante di quel primo comunismo: voi avete portato in chiesa, nella preghiera, quella mentalità arretrata e offensiva che l'ignominia dei vostri testi ci fa sentire ancor più volgare. «La messa di noi ciuchi»: così ho sentito definir da un del popolo la «vostra» messa, e non m'è parso che la sua voce tradisse ricono-scenza per voi.


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