LA TUNICA STRACCIATA - Tito Casini

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InHocSignoVinces
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Re: LA TUNICA STRACCIATA - Tito Casini

Message par InHocSignoVinces »

Quantum potes, tantum aude: quia maior omni laude, nec laudare sufficis. - Sii ardita quanto puoi: egli supera ogni lode, non vi è canto degno.

Laudis thema specialis, panis vivus et vitalis, hodie proponitur. - Pane vivo, che dà vita: questo è tema del tuo canto, oggetto della lode.

Sit laus plena, sit sonora, sit iucunda, sit decora mentis iubilatio. - Lode piena e risonante, gioia nobile e serena sgorghi dallo spirito.

In hac mensa novi Regis, novum Pascha novae legis, phase vetus terminat. - È il banchetto del nuovo Re, nuova Pasqua, nuova legge; e l'antico ha termine.

Vetustatem novitas, umbram fugat veritas, noctem lux eliminat. - Cede al nuovo il rito antico, la realtà disperde l'ombra: luce, non più tenebra.

Quod in coena Christus gessit faciendum hoc expressit in sui memoriam. - Cristo lascia in sua memoria ciò che ha fatto nella cena: noi lo rinnoviamo.

Doctis socris institutis, panem, vinum in salutis consecramus hostiam. - Obbedienti al suo comando consacriamo il pane e il vino, ostia di salvezza.

Sub diversis speciebus, signis tantum et non rebus, latent res eximiae. - È un segno ciò che appare; nasconde nel mistero realtà sublimi.

Caro cibus, sanguis potus: manet tamen Christur totus sub utraque specie. - Mangi carne, bevi sangue: ma rimane Cristo intero in ciascuna specie.

Sumit unus, sumunt mille quantum isti, tantum ille, nec sumptus consumitur. - Siano uno, siano mille, ugualmente lo ricevono: mai è consumato.

Sumunt boni, sumunt mali: sorte tamen inaequali, vitae vel interitus - Vanno i buoni, vanno gli empi; ma diversa ne è la sorte, vita o morte provoca.

Ecce panis Angelorum, factus cibus viatorum, vere panis filiorum; non mittendus canibus... - Ecco il pane degli angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli:, non va gettato ai cani...


I cani, certo, scapperebbero - come mi pare di aver già scritto a un dei vostri
- a sentirsi tirar dietro di questi «versi», revulsivi per dei cannibali («Mangi
carne, bevi sangue...»
) pur robusti di stomaco. E la meraviglia non è che certe
cose si siano scritte (Nil admirari! disse già Orazio): la meraviglia è che ci sia,
fra i preti, forse perfino fra i vescovi, chi ha la forza di dirle.


Dirle, declamarle, come voi suggerite, nell'attesa e non nell'impossibilità,
per voi, di cantarle, e chissà che non si arrivi o si sia già arrivati anche a questo,
magari con le note medesime di san Tommaso! «Sii ardita quanto puoi», e a
veder quello che si è fatto, quello che si fa, quelle che in nome della Riforma
s'intende di fare in ogni campo, ci par che questa sia la consegna e la misura
data da voi giusto ai vostri arditi, alla vostra compagnia-guastatori nel metterla all'opera.


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InHocSignoVinces
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Re: LA TUNICA STRACCIATA - Tito Casini

Message par InHocSignoVinces »

«USQUEQUO, DOMINE ?»


«Sii ardita quanto puoi»: non ti trattengano, dal distruggere e dall'«innovare»,
scrupoli dottrinali o disciplinari o sentimentali; non leggi di papi o di
Concili, non autorità di tradizione, non reverenza di santi, non amore della
cristianità, non attaccamento di popolo, non invidia di chi non ha e aver vorrebbe,
non rispetto dell'arte, della poesia, della logica, della sintassi.
«Sii ardita quanto puoi», e quanto i secoli fecero a gara perché apparisse più bella,
nelle sue dimore, nelle sue vesti, nei suoi canti, la «Sposa di Dio», tu abbilo a
lusso e a spreco: ut quid perditio haec ? e ritoglile: impoveriscila, volgarizzala,
proletarizzala, levale il manto di regina e mettila in tuta, non temendo l'accusa
di catarismo, non ricusando il plauso marxista per gli «enormi cambiamenti»,
per l' «abbandono del trionfalismo», dello «spirito costantiniano» di cui quelli
(Lombardo Radice) già ci dànno atto e merito.



«Sii ardita quanto puoi»: e dalla porta per cui si è dato lo sfratto al latino, al
gregoriano, alla musica, è entrato il gergo della piazza, è entrata la cacofonia,
piana e sonora, sono entrate le messe ibride, le messe anfibie, le messe in
esperanto, le messe in «jazz», in «yè-yè», in «twist», le messe al suono del tam-tam,
del mandolino, della chitarra, le messe Puig, a Parigi e a Roma, accompagnate ossia
rumoraggiate dai vibrafoni, dai tamburi e... dalle risate di quella
parte del pubblico (chi vorrà più dire «dei fedeli»?) che non è fuggita gridando
alla profanazione del rito e del luogo sacro... Dove giunti, pensavamo che bastasse,
in fatto di ardire: che il carnevale liturgico, che l'irrisione, la profanazione del rito e
del luogo sacro avessero toccato il culmine: che la messa-pretesto, la messa-cavia
per tutti gli «esperimenti» cui la Riforma ha dato il via non ne reggesse ormai altri,
e ci sbagliavamo: c'era ancora, in Roma, all'ombra di San Pietro, ideata da religiosi
vostri amici (non celebrata, sia detto: solo provata), la messa-Beat» o «dei Capelloni»
o «degli Urlatori» (chi vi ha assistito e ce ne ha parlato era incerto fra le denominazioni
di «manicomio» e «bordello»), coi testi liturgici, compreso il Pater, modificati, «adattati ai loro
strumenti», chitarre elettriche, batterie, amplificatori elettronici al massimo
registro, su «musiche» di un compositore per cinema prestabilitamente «non
sacre ma profane» e l'aiuto di ragazze «in vestitini Courrèges» e giovinette in
«completini op» che le ritmavano con contorsioni «a tempo di shak», producendo,
tra loro e il pubblico astante, un fracasso che a detta di un giornalista
avrebbe superato il muro del suono... Tutta la stampa ne ha parlato, con disgusto
e con sdegno (eco del disgusto e dello sdegno che là si era manifestato
in maniera più sensibile, sia vocalmente che manualmente), e perfino qualche
giornale «cattolico» si è azzardato a dire che, sì, forse, qui si sta esagerando.
Quanto agli altri... l'Unità chiude la sua relazione scrivendo: «Certo, l'idea di
trasformare le centinaia di chiese romane in tanti Piper non è una prospettiva
entusiasmante».



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InHocSignoVinces
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Re: LA TUNICA STRACCIATA - Tito Casini

Message par InHocSignoVinces »

Si sta difatti... esagerando, ed è anche in questo che noi speriamo... Deus,
venerunt gentes in hereditatem tuam, polluerunt templum sanctum tuum...
Usquequo, Domine ...?
Siamo in molti, sempre più molti, a pregare, a lamentarci
così con Dio, e cresce, quanto più in voi l'ardire, tanto più in noi la speranza
ch'Egli finirà per ascoltarci.


Ci conforta a crederlo, restando sul piano umano e rifacendoci al principio
della babele, a quel ripudio dell'unità della lingua che sembra aver dato il via
a tutto il resto - a quella «febbre di modernismo», per dirla con l'ultimo Maritain,
recensito summa cum laude dall' «Osservatore Romano», al cui confronto
quello del tempo di Pio X «era un modesto raffreddore» - ci conforta a crederlo
la fede del nostro papa Giovanni nella vitalità propria della «lingua cattolica»
pur in quanto lingua civile, la quale se nel corso dei secoli, com'egli afferma,
giacque, più volte, oppressa dalla barbarie dei tempi, «iacuit pluries, temporum
iniquitate veluti oppressa»,
semper per altro risorse, «at rursus floruit renovata
semper»,
come vediamo noi stessi nei paesi d'«oltre cortina», e quanto
più non dovrebbe in quanto lingua della Chiesa, per le troppe ragioni per cui
egli stesso, papa Giovanni, anatemizzava l'ipotesi che si osasse attentarle?


Ci confortano col loro scherno - subsannatio et illusio... - a nostra vergogna
e resipiscenza, i «nostri vicini»: i comunisti ora detti, i protestanti già detti, che
ci prendono o c'invidiano la lingua e il canto - il latino, il gregoriano, le Messe
di Palestrina... - e ricordiamo che il capo dei separati meno distanti da noi, nel
suo incontro con noi in San Paolo, volle concludere in latino, e così in qualche
modo quasi avviare, il suo auspicio che la separazione cessasse: «So may the
song of the Angels be echoed in the wilIs and actions of men: Gloria in excelsis
Deo et in terra pax».



Ci confortano a sperare i giovani, coi loro libri e le loro maglie: i giovani a
cui il latino di scuola, per poco che sia e comunque studiato, fa sentire l'inferiorità,
la volgarità del volgare di chiesa e già ne son sazi.


Sappiamo che gli stessi bambini «sentono che pregare in latino è più bello
che in italiano».
Ce lo diceva una maestra, che avendo insegnato anche in
latino la preghiera per l'inizio della lezione, ha dovuto seguitare così perché così
hanno chiesto e voluto - senza saper dei nostri dibattiti! - appunto perché le
loro vergini anime ne percepiscono la misteriosa bellezza.


Ex ore infantium perfecisti laudem... et revelasti ea parvulis... e questo concordare
dei «piccoli» - bambini e «popolo» - coi dotti e i santi, il servo di Dio
Pio XII, il servo di Dio Giovanni XXIII, vuol pur dir molto per noi.


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Re: LA TUNICA STRACCIATA - Tito Casini

Message par InHocSignoVinces »

«NOI PREGHEREMO LA MADONNA: LA PREGHEREMO IN LATINO»


Noi speriamo, noi siamo certi, della certezza che canta nei versi di una poetessa
tedesca (Maria Luisa Kaschnitz, vivente): «Sempre ci fu uno che disse: Il
sole scompare! - ma sempre ci fu uno che disse: Non abbiate paura! -»
Il sole,
difatti, è il sole, e non c'è artificio, non schermo, come non c'è notte o nuvola
o eclisse che possa celarne indefinitamente la faccia. At rursus floruit renovata
sempre
(che verso! e non è che prosa, latina) e già ne vediamo erompere i
primi raggi.


Erompere è la parola, se penso, per esempio, al coraggio che ci voleva al
massimo giornale cattolico (del quale ogni parola è pesata e fa autorità) per
scrivere, come ha fatto, sull'ultimo pontificale di Pasqua in piazza San Pietro:
«alla professione di fede nel Redentore risorto levatasi nella incomparabile
cornice formata dalla facciata maestosa e dal portico berniniano, si è unita
coralmente tutta l'immensa assemblea, cattolica di fede e per la sua provenienza
da ogni parte del mondo ed unita nella lingua madre propria della
Chiesa. Ancora una volta si è verificato per Roma il detto di Ovidio: Romanae
spatium est Urbis et Orbis idem».



Sembra, al cronista, una scoperta (come tutte le cose belle: come la primavera,
che pur rifiorisce ogni anno, come il sole, che pur risorge ogni mattina),
questa commovente bellezza del pregare, credenti d'«ogni parte del mondo»,
nell'unità nella «lingua madre propria della Chiesa», ed è antica quanto la
Chiesa, che ripete da diciannove secoli, con san Paolo, ai suoi figli: «Vi conceda
Dio di aver fra voi lo stesso sentire, sì che con un animo solo e una sola bocca
onoriate il Signore»,
ben sapendo come unità di labbro e unità di mente e unità
di cuore siano una cosa, e rischioso il dividere.


Può la Chiesa non tenere conto di questo, rinunziando alla sua invidiata
bellezza («Omnis pulchritudinis forma unitas»: ce lo ricordava, con
sant'Agostino, Paolo VI), cessando di parlar co' suoi figli la «sua propria lingua»,
quand'anche le «diverse lingue» non fossero le «orribili favelle» con cui dovrebbe barattarla?


La nostra certezza ci viene soprattutto da LEI, che noi amiamo di sconfinato
amore e preghiamo, non temendo, noi, di «eccedere», in questo, come altri s'è
preoccupato; o eccedendo con Dante, che La invocò onnipotente: «Ancor ti
prego, Regina che puoi ciò che tu vuoli»
; eccedendo con Petrarca, che le chiede,
nel suo amore, licenza d'invocarla «nostra Dea»; eccedendo con Manzoni, che
ogni altrui lode compendia nella sua e conclude: «Inclita come il Sol, terribil
come Oste schierata in campo».



Electa ut Sol, terribilis ut castrorum acies... È la Chiesa che così La vede e La
chiama: la Chiesa che La esalta sterminatrice d'ogni errore, cunctas haereses
sola interemisti,
e non dubitiamo che ciò che fu sarà ancora, oggi e domani e
sempre, per lei ch'è sua figlia.


«Madre della Chiesa» - come il Papa l'ha proclamata, inserendo nella sua
corona una nuova gemma mentre il nuovo modernismo tentava come il men
nuovo di limitarne il fulgore -, Essa non può non averne cara la lingua: quella
lingua che sul Calvario La consolò, corredentrice, proclamando Figlio di Dio il
suo Figliolo e ne portò il Vangelo nel mondo: usque ad extremum terrae.


«Noi pregheremo la Madonna, La pregheremo ancora in latino...». Così il
Papa, Paolo VI, quel 7 di marzo, accingendosi e invitandoci tutti a salutarla con
l'Angelus; e chi fu con la mente in cielo, sull'ali della più potente poesia, così
La sentì salutar dall'Angelo stesso:


«E quell'amor che primo li discese,
cantando Ave, Maria, gratia plena,
dinanzi a Lei le sue ali distese»;


così implorare, con le note del gregoriano, nel Purgatorio:

«Salve, Regina, in sul verde e 'n su' fiori
quindi seder cantando anime vidi»
;
così acclamare in Paradiso:
«Indi rimaser lì nel mio cospetto,
Regina coeli cantando sì dolce
che mai da me non si partì 'l diletto».



Sarà mai che a un tale concerto, della Chiesa che trionfa e
della Chiesa ch'espia, manchi la sorella Chiesa che milita e
ogni giorno da ogni suo altare ricanta il suo gaudio di farne parte?

Cum quibus et nostras voces ut admitti iubeas... E perché la mia,
la meno degna, sia anche ammessa, aiutate con la vostra preghiera chi,
per amore, può avervi addolorato, Eminenza.


FINE
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