LA TUNICA STRACCIATA - Tito Casini

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InHocSignoVinces
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Re: LA TUNICA STRACCIATA - Tito Casini

Message par InHocSignoVinces »

«Sì, tu sei ciuco», voi avete detto al popolo, al nostro popolo, col vostro 7 marzo: «ciuco, senza tua colpa, e al ciuco non giova scuola, per cui noi non ci confonderemo a istruirti, a spiegarti che cosa significhino certe cose, anche se all'apparenza facili, specie per te ciuco italiano. Ai ciuchi si dà la paglia e noi te la diamo, imponendo per altro a tutti lo stesso foraggio. Non più dunque - uscendo dal figurato e principiando dal principio - In nomine Patris... che tu non sai né puoi saper come si traduca, ma «In nome» (anzi «Nel nome», per farti subito gustare il genere di paglia, un po' grossa, per te preparata), come non sai né puoi saper che Confiteor vuol dire «Confesso», che Gloria vuol dir «Gloria», Deo gratias vuol dir «Grazie a Dio», Credo vuol dir «Credo», Sanctus vuol dir «Santo», Pater noster, «Padre nostro», Agnus Dei, «Agnello di Dio» (da non confondersi con l'abbacchio), non sum dignus, «non son degno», Ite, in ultimo, «andate» («in pace», abbiamo aggiunto per te, ma attento a non sbagliare indirizzo!) e scusaci se per evitar quiproquo abbiamo lasciato in latino due parolette che ai tuoi orecchi di ciuco potevano parer, tradotte, un'imprecazione... Tu sei ciuco, caro popolo, e in considerazione di questo non abbiamo badato né alla grammatica né, tanto meno, all'estetica, alla poesia, alla bellezza, cose che non si mangiano e di cui tu ridi, come noialtri. Che ne sai tu, per esempio, ossia che t'importa della consecutio temporum? Passato prossimo o passato remoto per te fan lo stesso (salvo agli effetti del mangiare), e così, con buona pace della sintassi, noi ti facciamo caracollare fra l'uno e l'altro: «discese dal cielo... s'è fatto uomo ... fu pure crocifisso» (tra l'altre cose!) «è risuscitato...» Item, che differenza c'è, per te, che non ce la faresti certo a capire che cosa significhi «in unitate», fra il dire «nell'unità», come par che voglia la teologia, e il dire «in unione», come abbiamo riformato noialtri? A ogni buon conto, noi rammentiamo all'Eterno Padre, in una piccola parentesi, che anche Gesù è Dio («in unione col tuo Figlio, che è Dio»: non manca che il «pure») e la dolcezza della parola «Salvatore», seguita dalla parola «Padre», non ci toglie di vedere in Lui quasi un colonnello al cui ordine si deve scattare e dir signorsì: «Obbediente al comando del Salvatore...»


Chi salva non comanda: ama - ammonendo, per amore, e ammaestrando - e chi è salvato non obbedisce: riama, che include il più perfetto obbedire; e permettete, Eminenza, questo raglio in mezzo al vostro discorso, per dirvi che anche i ciuchi... eh, via, non esageriamo! e io vi assicuro, Eminenza, io che facendo parte del branco ne sono, qui, il portavoce, che le cose stanno esattamente all'opposto: il popolo sente, e in verità non ci vuol molto, la «barbarie», la «bruttezza inammissibile, intollerabile» della «messa nuova», riformata, la bellezza di quella che gli avete portato via... senza la malizia, sia detto, dell'antiquario o del pataccaro nei riguardi dell'inesperto campagnolo, non percependo voi stessi il valor del baratto.


Vivaddio, il vostro antesignano Scipione Ricci (come i protestanti, del resto) aveva barattato il latino con un volgare, per quei tempi, assai meno volgare del vostro, e nondimeno voi sapete come venne accolta dal popolo la sua messa: coi randelli e l'aut-aut, gridato sotto le finestre dei preti: «O Messa antica o bastonate nuove!» Quei preti preferirono la Messa antica; non tanto, forse, per le minacce quanto perché videro, in atto, la bruttezza e gl'inconvenienti della riforma... e lasciate che divaghi, a questo proposito, per raccontarvi quel che successe in una di quelle chiese dove la riforma, appoggiata come si sa dal Granduca, era comunque entrata in vigore.


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Re: LA TUNICA STRACCIATA - Tito Casini

Message par InHocSignoVinces »

SCANDALI IN CHIESA


S'era ai giorni liturgicamente più belli (più sconciati, infatti, da voi), quelli della Settimana Santa, si era al bellissimo, il Sabato Santo, e un contadino va, contento come una pasqua, alla chiesa a far battezzare il figliolo che la brava moglie gli ha dato. Sarà lui a rinnovare il fonte, come si dice, ossia a diventare il primo cristiano mediante l'acqua che si benedirà stamattina (e il felice babbo non si sarà scordato di prender con se l'agnello o il capretto da regalar, come tradizione vuole, al priore, per gratitudine del privilegio). La contentezza fa sì che l'uomo non badi troppo, come gli altri parrocchiani, allo scempio che il celebrante - costretto a dirle in volgare - fa delle stupende orazioni che accompagnano il sublime rito; se non che... tutto ha un limite, e anche lui si scuote, e che scossone! allorché il rito giunge a quel punto. Traducendo, come tutto il resto, le parole per Deum vivum, per Deum verum, per Deum sanctum, il celebrante dice infatti, mentre la sua mano traccia sul fonte la triplice croce: «Per Dio vivo, Per Dio vero, per Dio san...» E non ha finito ancora di dire, che il contadino trasalta. Accertatosi, con un'occhiata all'ingiro, di non sognare, e visto che anche gli altri si chiedono fra loro se sognino, egli si volta alla comare, che non meno sbalordita se ne sta lì col piccino in braccio, e le fa: «Betta, piglia il mimmo e scappiamo: il prete bestegna!»


Questo si racconta ancora in Toscana, e può darsi che sia una favola; ma non è una favola, è quello che io ho visto in una chiesa della mia diocesi, il riso della gente a sentire il prete che comunicava la colonna marciante brontolando per la lentezza e dicendo: «Corpo di Cristo... Corpo di Cristo... Corpo di Cristo...» con l'èmpito di un caporale intento alla distribuzione del rancio.


Quel prete, voi ci direte, sbagliava: doveva dir «Corpus Christi»; ma perché, noi vi domandiamo, se il latino è un «diaframma», lasciarlo, questo «diaframma», proprio lì dove maggiormente al fedele giova saper ciò che gli vien detto, onde sapere Chi gli vien dato? Perché, voi ci rispondete, in italiano quelle parole... equivalgono al «per Dio» di dianzi (senza neanche il correttivo degli aggettivi latreutici), e non v'accorgete che già con questo voi date ragione all'anatema che vi colpì nel vescovo giansenista? Era opportuno, secondo il Ricci, che «si togliessero quei motivi per cui i fedeli» - senza che, neanche loro, se ne fossero accorti - erano «stati in parte posti in oblio, col richiamare la Liturgia ad una maggiore semplicità di riti, coll'esporla in lingua volgare, e con proferirla con voce elevata», e la risposta della Chiesa (quella dei fedeli l'abbiam già vista) fu la condanna della proposizione come «temeraria, piarum aurium offensiva, in Ecclesiam contumeliosa, favens Haereticorumi in ea conviciis». Sacrosante parole - richiamate pur da un recente successore di Pio VI - oggi valide come allora e ci ripensavo là di dicembre sentendo il celebrante perdere d'improvviso la voce e proseguir fioco fioco (forse per paura di quella tal macina, nei riguardi degli innocenti che gli servivano in «tarcisiana» la Messa) queste parole della «lettura» dei Santi Innocenti: «Questi sono coloro che non si son macchiati con donne»; come ora qui di febbraio per il postcommunio di sant'Agata, letterariamente un capolavoro di sintassi riformata: «Chi si degnò guarirmi da ogni piaga e ridare i seni al mio petto, questi io invoco Dio vivente». Ci ripensavo l'estate scorsa, il 2 luglio, in una chiesa di Riccione, vedendo del pari il celebrante fermarsi... e proseguir poi, anche lui, sottovoce quella «lettura» letterariamente un'altra cosa perché non era ancora uscito il vostro messale quotidiano: «Eccolo il mio diletto venir saltellando per i monti, balzando per i colli, simile a una gazzella o a un cerbiatto. Eccolo che sta dietro alla nostra parete, guardando dalla finestra, osservando attraverso le grate. Ecco, il mio diletto mi parla: "Alzati, fa' presto, amica mia, colomba mia, bella mia, e vieni..."» Item di lì a poco, il 22 luglio, per santa Maria Maddalena: «M'alzerò e andrò attorno per la città, per le contrade e per le piazze, in cerca del mio bene. L'ho cercato e non l'ho trovato. M'hanno trovato le sentinelle che stanno a guardia della città. "L'avete visto il mio bene?" Le avevo appena oltrepassate che lo trovai, il mio bene: lo presi e non lo lascerò fino a quando non lo avrò portato in casa di mia madre, in camera...» e il mio caro don Mario smise, anche qui, di legger forte, perché, come poi mi disse, vedeva davanti a se la gente, ragazze e giovanotti, vedeva i chierichetti guardarlo «con tanto d'occhi sgranati». Il «diaframma», evidentemente, qui non ostava ma non credo che i fedeli ne guadagnassero in pietà e in edificazione più che se avessero seguito la Messa in latino o sulle loro Massime eterne, o magari «sgranando rosari», per dirlo con le parole della celeberrima Zarri, la Pasionaria della Riforma.


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Re: LA TUNICA STRACCIATA - Tito Casini

Message par InHocSignoVinces »

Ve ne siete purtroppo accorti anche voi, e dico purtroppo perché invece di lasciare o rimetter le cose com'erano (quando nessuno, alla Messa, aveva occasione di sgranar gli occhi, e il latino, velando, rendeva più sacra la Parola) avete deciso di purgare il Messale, levando, svirilizzando, facendone una cosa ad usum delphini... È così che con buona pace di un papa come Pio XII, che condannava e tacciava di «temerario ardimento» chi osasse escludere «dai legittimi libri della preghiera pubblica gli scritti sacri del Vecchio Testamento, reputandoli poco adatti e opportuni per i nostri tempi» (Mediator Dei, 1947), avete escluso dal Messale, per motivi di... moralità, la casta Susanna... Tentata, nella sua rara bellezza, e costretta, da chi può iniquamente farlo, a scegliere tra il peccare e il morire, essa sceglie senza esitazione la morte (da cui la salverà, col suo intervento, Daniele), fedele al suo sposo e a Dio in così eroica maniera che la Chiesa, tentata, perseguitata e trionfante, si riconoscerà in essa, la esalterà effigiandola nelle sue catacombe e nelle sue chiese, dedicandole una delle sue «stazioni», Statio ad Sanctam Susannam, e l'additerà in perenne esempio ai suoi figli mettendola appunto nel Messale: in quella stupenda Messa del terzo sabato di Quaresima, tempo di grazia e di redenzione, dov'essa sta, nella «lettura», figura dell'innocenza glorificata, accosto all'adultera del Vangelo, la peccatrice perdonata... Quella bella Messa ora è zoppa, perché c'è rimasto solo la peccatrice: l'innocente, liberata per opera del profeta dalle pietre dei suoi concittadini, è stata lapidata da voi, per i motivi anzidetti, considerata l'imprudenza di pronunziare in volgare, a voce alta, davanti a tutti, tetti alti e medi e bassi, l'equivalente di «exarserunt in concupiscentiam eius», «contemplantes eam», «nos in concupiscentia tui sumus», «assentire nobis et commiscere nobiscum», «concubit cum ea» eccetera eccetera. Col latino, è vero, certi problemi non esistevano. Capiva chi doveva capire, e la lucerna - il «cero», per dirlo con Paolo VI - poteva così star sopra il moggio, come l'antico buono lume di casa, facendo luce senz'accecare.


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Re: LA TUNICA STRACCIATA - Tito Casini

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LA RIVINCITA DI «RICHETTO»


Il popolo, dico riprendendo il discorso, sente, gusta, ama il latino di chiesa, così come ama e vuole bella la chiesa; e mi rammento, a questo proposito, di una parrocchia montana della vostra diocesi, Eminenza, la parrocchia dei Boschi, ch'io visitai molti anni addietro, dove i popolani, che vivevano, allora, poco più che di «necci», dopo essersi vuotate le tasche vendettero fin le loro galline, come il parroco mi raccontava, felici di impoverirsi ancor più per dare alla loro nuova Casa di Dio, come il poeta auspicava per l'altra, celebre, «la voce de la preghiera», ossia un bel campanile con quattro belle campane... Col che tornando alla lingua, permette che divaghi di nuovo per raccontarvene un'altra: un'altra recente e forse non vera, forse inventata da un bello spirito per far vedere come il popolo il latino lo abbia nel sangue, dopo quindici secoli di preghiera privata e pubblica che ne hanno fatto, per dirlo con le parole di un grande papa, la sua «lingua materna».


Dice dunque che un contadino, sul tipo di quel Vitale di Pietrasanta della novella sacchettiana che aveva messo il figliolo a studiare a Bologna con suo dispendio ma con la fondata speranza di farne un «giudice» e così ritrarne lustro e guadagno; avendo fatto precisamente come quello con un de' suoi ma avendoci, a differenza di quello, rimesso oleum et operam, secondo il detto di Plauto, non senza danno del suo amor proprio secondo il detto di Fedro, et perdunt operam ed deridentur turpiter, e tutto questo per via giusto del latino, nel quale il povero Richetto non era mai riuscito a sfondare, se l'era presa con la lingua di quelli come Catone con Cartagine, e se non predicava contro di lei il suo delenda né lo tratteneva forse il pensiero che quella era pur la sua lingua di buon cristiano, dico la lingua della Chiesa. Logico, quindi, ch'egli facesse festa, come noi lutto, il 7 marzo, non essendoci più lieta cosa del poter accordare coi nostri propri sentimenti, o sian pure risentimenti, la nostra propria coscienza; e fu così che, mandato in pace, con tutti gli altri, dal celebrante, e con tutti gli altri uscito di chiesa, esclamò: «L'è finita col latino: l'è proprio finita, Deo gratias!» Il che avendo fatto un po' rider gli altri fu causa ch'egli li facesse ridere ancora, riprendendo con la stessa ingenua veemenza: «Sì, finita, laus Deo! e per sempre: per omnia saecula saeculorum. E se a voialtri la vi garbava, prosit: io, per me, gli dico: requiescat in pace!»


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Message par InHocSignoVinces »

Giova a noi credere che il brav'uomo, in quanto a legger nel futuro, non superi in acutezza il rampollo. Siamo in molti, e il numero ogni giorno cresce, a sperarlo, a sperare, per il latino di chiesa, in un altro latino: «Multa renascentur quae iam cecidere...» e a ben sperare ci son cagione, con la loro intelligenza, il loro buon gusto, il loro nativo fiuto del bello proprio questi studenti figli del popolo, come già si diceva, a cui la vostra demagogia non sa offrire che l'uguaglianza nell'ignoranza. Allorché l'altr'anno, il nostro primo governo strabico (fronte al centro, occhi a sinistra), ossequente ai masson-marxisti della congrega, umiliò la scuola riducendo e rendendo facoltativo ciò che prima era d'obbligo, risultò poi che a optare per il latino erano i figli dei contadini e degli operai, era insomma il «popolo», a ben del quale s'era pretestuosamente chiesta l'abolizione, voluta di fatto in odio alla Chiesa, alla lingua, ripetiamolo, della Chiesa. È di questi giorni la dichiarazione dell'onorevole Elkan, sottose-gretario all'Istruzione, che la maggioranza «degli alunni della scuola media hanno scelto il latino come materia facoltativa, negli ultimi tre anni, con preponderanza delle scuole periferiche» (ossia del popolo più «popolo», e nono-stante che il latino di scuola sia ben più difficile del latino di chiesa!) «senza alcuna discriminazione di carattere sociale»): quanto dire che il latino abolisce, non favorisce le «caste».


Si fosse avuto meno fretta, come la gatta del proverbio, si sarebbero visti, «in nome del popolo», dell'istruzione, dell'educazione, dell'«elevazione» del popolo, i paesi schiettamente, autenticamente comunisti - cominciando dalla Cecoslovacchia - rimettere nelle scuole, in tutte e come materia d'obbligo, il latino... con quanta vergogna per noi italiani, con quanta umiliazione per noi cattolici! «C'è da mangiarsi le mani», scriveva con invidiosa rabbia, in proposito, una nostra rivista, e voglia Dio adempiere la sua sarcastica speranza di veder «tornare il latino anche da noi, anche in chiesa, adesso che è venuto il " via libera " d'oltre cortina».


Dal lato dei protestanti s'è potuto legger nel Times, citato dal cardinale Godfrey, portavoce dei cattolici inglesi: «Mentre il Concilio Romano si pone il quesito... di sostituire nel culto la lingua latina con la lingua volgare, noi anglicani ci sforziamo d'introdurre di nuovo il latino negli atti di culto e deploriamo vivamente il fatto di non posseder questa lingua». Invidia, dunque, anche di lì: l'invidia di chi ha il sacco e non la farina e vede con stupore chi ha questa buttarla via... come coriandoli al fango nei giorni fatui del carnevale... Sappiamo che tra i protestanti più sinceramente cristiani, più nostalgici dell'unità, c'è in realtà un movimento (il Sinodo di Canterbury ha già dato il via) per il ritorno al latino, alla lingua ch'essi parlarono, con cui pregarono in fraternità insieme a noi prima di separarsi, di lasciar la casa paterna, e sarà la loro esperienza di quattro secoli e mezzo di «volgare», di «lingua nazionale», a disilluder chi in buona fede credette al «diaframma». «Non c'illudiamo», scrive col suo arguto buon senso il Marshall: «non sarà la liturgia in volgare a far venire gl'invitati al festino di nozze. La Chiesa anglicana canta il più bell'inglese davanti ai banchi più vuoti, mentre il (cattolico) più ignorante in latino intende benissimo ciò che fanno i monaci di Solesmes».


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Re: LA TUNICA STRACCIATA - Tito Casini

Message par InHocSignoVinces »

STUPORE DI «BARBARI»


Coerentemente, logicamente, con l'altrui esperienza che si diceva, fra i difensori cattolici del latino gl'inglesi sono in prima linea (lo dimostra fra l'altro il forte numero di aderenti, laici e clero, alla Latin Mass Society istituita per questo), insieme agli americani, ai tedeschi, agli svizzeri, agli scandinavi, ai polacchi, per dire i paesi, a prevalenza protestante o più dissiti, etnicamente e linguisticamente, da Roma, che avrebbero dovuto, come parrebbe, accoglier dunque la Riforma con tanto più buon viso di noi italiani per il quale il latino è (Dante) «la lingua nostra».


Ho accennato, per l'Inghilterra, al cardinale Godfrey; vi rimando, per l'America, al cardinale Gibbons, che nel suo libro La fede dei nostri padri confuta così persuasivamente il vostro discorso sul «diaframma», e la conferma ci è venuta or son pochi mesi dagli americani stessi, che a un'inchiesta sull'«indice di gradimento della Riforma», promossa dai 130 giornali cattolici e riferita con stupore dall'«Osservatore Romano» (8 giugno 1966) hanno risposto, nella stragrande maggioranza, nettamente di no; hanno risposto di «sentirsi indeboliti verso le pratiche religiose e verso i legami spirituali con gli altri fratelli cristiani»; hanno risposto, gli ex-protestanti: «Questo nuovo indirizzo della liturgia ci riporta alla vecchia Chiesa e ci toglie quel senso di tipica devozione cattolica che tanto ha influito sulla nostra conversione». Dove si vede che il «dia-framma», in tutti i sensi, è semmai il volgare... Vi do per noto, proseguendo, il «parere», chiesto e recepito dall'Alto, del padre Wlodimiro Ledòchowski, polacco, che a nome e con l'esperienza mondiale del glorioso esercito ignaziano di cui era a capo denunziava la tendenza antilatinista come «assai pericolosa per l'unità della Chiesa», giovevole ai «movimenti più o meno aperti per creare le cosiddette chiese nazionali», cooperatrice indiretta delle «tendenze separatistiche»; tralascio tante e tante altre testimonianze di uomini, ecclesiastici e laici, che alla saggezza e all'esperienza unirono la più profonda pietà, ma non rinunzio, per i tedeschi, a citarvi almeno una pagina, la prima di tutto un libro, Romanitas e Cattolicità nell'ora presente, scritta in difesa del latino da un fervente cattolico ed eminente uomo di lettere quale il professore Anton Hilckman, dell'Università di Magonza: «Fino ad ora... la "latinità" era per noi, al-meno sentimentalmente, qualcosa, per così dire, di essenziale alla stessa fede professata. In misura assai più vasta che non si immagina nei paesi linguisticamente latini, per noi cattolici europei linguisticamente non-latini, ma reli-giosamente tanto più romani e quindi anche latini, il Latino, la lingua della nostra liturgia, era una lingua sacra. Lo stesso pensiero che un giorno si sa-rebbe potuto toccarlo, sarebbe parso sacrilego. Si amavano, certo, e si cantavano con entusiasmo, i canti religiosi in lingua tedesca alla Madonna, quelli natalizi e pasquali... questo sì, ma la liturgia nel senso più stretto, quella della Messa, per esempio, in lingua tedesca... no: questo era inconcepibile. I dibattiti dei tempi della riforma protestante non erano poi tanto lontani; e noi non avevamo dimenticato che i nostri antenati avevano preso le armi contro tutta la serie dei vari principotti e principucoli protestanti per conservare la Messa latina, per mantenere la "romanità" della nostra fede, per non "intedeschire" la religione ("Cuius regio, ejus religio "); un orrore, una abominazione mai e poi mai accettata dalla coscienza cattolica dei nostri antenati! La Messa romana in lingua latina era per noi la più splendida, la più eloquente manifestazione e dimostrazione dell'unità mondiale della nostra fede, che noi consideravamo come l'unica vera fede dell'umanità tutt'intera. Con quanta commozione e quanto entusiasmo ascoltavamo i racconti di compatrioti e correligionari che avevano fatto il giro del mondo, sentendosi sperduti ed abbandonati in paesi lontani, stranieri ed alloglotti... e che improvvisamente, ad un tratto, si sentivano nella casa paterna, quando in una chiesa della lontanissima Santiago del Cile o della Nuova Zelanda udivano intonare il Credo in unum Deum... o il Gloria in excelsis Deo... esattamente come nelle familiari chiesine della nostra Vestfalia! Questo era la cattolicità; il mondo tutt'intero era la nostra patria! Esser cattolico voleva dire, in un senso più che terrestre, essere cittadini dell'Universo, della Terra tutta intera, la quale avrebbe dovuto divenire cristiana, cattolica, romana... Fare concessioni, cedere, rinunciate alla menoma parte della nostra "romanità"? Non si poteva pensarvi!»


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Re: LA TUNICA STRACCIATA - Tito Casini

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Che ci potessero pensar gl'italiani, o meglio che ci si potesse pensare per gl'italiani, è parsa cosi grossa su in Scandinavia che uno svedese, un «vi-chingo», amico del nostro amico Marino Sanarica - autore di una celebre «epistola», Essere o non essere, a voi diretta - ne ha scritto, in latino, a questi, manifestando il maggior stupore, come i comunisti cecoslovacchi, come i protestanti inglesi, e dicendogli: Ah, voi rinunziare al latino! «Vuol dire che saremo noi a sostituirvi: noi, noi barbari!» (qualche cosa di simile a quello che ci disse l'altr'anno un negro, il presidente del Senegal, Senghor, in visita a Roma, pronunziando in latino il suo discorso all'arrivo mentre quei nostri onorevoli ne sentenziavano in cattivo sgrammaticato italiano il licenziamento dalla scuola). E di lassù, di tra le nevi e i ghiacci del polo, ci venne, dallo stesso scrivente, questa calda, soave, mistica rappresentazion del latino: «Pelicanus est ille myticus, pio fodicat qui pectora rostro datque fervidum sanguinem bibendum et carnern edendam pullis scilicet nobis filiolis atque semper idem et unus manet, non extenuatus, non confectus»: inconscia e poetica traduzione di ciò che leggevamo dianzi in Pio XI: «... sermonem... universalem, immutabilem, non vulgarem» - e torniamo al «popolo», il povero popolo-ciuco a ben del quale voi avete tirato il collo al pellicano, ossia tolto di mezzo il latino, sorridendo, se non ridendo, delle nostre «posizioni sentimentali» e concedendo, bontà vostra, che ciò che a voi, «innovatore» per vocazione, non dava altro che fastidio, avesse le sue ragioni di piacere a noialtri. Torniamo, cioè, alla vostra conferenza-lancio.


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Re: LA TUNICA STRACCIATA - Tito Casini

Message par InHocSignoVinces »

STRANIERI ANCHE IN CHIESA


«Ma come!» voi ci fate dire, esclamare (senza certo riflettere a Chi parlate, Chi compatite, con noi): «lasciar da parte il latino, la lingua della Chiesa, la lingua tradizionale della Chiesa, la lingua nella quale si sono espressi i padri, la lingua per cui la Chiesa cattolica si sente una in tutto quanto il mondo, lasciar da parte il latino per queste lingue volgari?» E riconosciamo che, se non tutte, avete riassunto bene una buona parte delle nostre «giustificazioni», spingendo la vostra generosità fino a dire: «non le disprezziamo», e grazie, Eminenza! Item per la musica: «accantonare, archiviare», voi seguitate a scandalizzarvi, rettoricamente, in nostra vece, «tutto un patrimonio di canto gregoriano, di polifonia classica, di polifonia e di musica sacra posteriore, accumulato nei secoli, che è tutto composto su testi latini, ed esige testi latini?» Item per l'architettura, ammettendo che se «le nostre chiese, le nostre grandi chiese, tutte le nostre chiese», con buona pace di Nicola Pisano, di Arnolfo, di Bramante, del Sangallo, di Michelangelo, del Bernini e compagnia simile, non son fatte bene, «non sono fatte nel modo più funzionale» e vanno perciò rifatte o corrette («con somma prudenza», beninteso) in «senso comunitario» ossia senza «diaframmi di colonne, pilastri, navate» eccetera tra l'«assemblea» e l'unico altare nel mezzo (in una parola, sottintesa, alla protestante), rappresentano tuttavia un «patrimonio artistico» anch'esso non disprezzabile; però... «Però» (è la vostra risposta a tutto, e fa pena) «di fronte a queste, che sono pure valide cose, sta una cosa più grande: la formazione spirituale del popolo cristiano: comunicare a questo popolo la parola di Dio in maniera che la intenda e se ne nutra: accostarlo all'altare così che egli consapevolmente partecipi all'assemblea della famiglia di Dio».


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Re: LA TUNICA STRACCIATA - Tito Casini

Message par InHocSignoVinces »

Più che a una famiglia la parola «assemblea» fa pensare a un «club», a una cooperativa, a un circolo, o mettiam pure a un condominio; ma non è questo, oh no! che fa pena: ciò che fa pena - ve lo ripeto: il sangue, infatti, ribolle nelle mie vene di cattolico perdutamente innamorato della sua Chiesa - è l'ingiuria che voi lanciate (senza riflettere, sicuramente: era il carnevale, erano i giorni dei coriandoli) contro la Chiesa. Se la logica vale ancora, se non è stata riformata, anche lei, al vostro distretto, da queste come da quell'altre vostre parole è giocoforza sillogizzare che la Chiesa, fin qui, fino a voi, l'esecutore della Riforma, il Grande Slatinizzatore del Culto, la Chiesa, con tutti i suoi papi, i suoi santi, i suoi dottori, i suoi liturgisti (da papa Damaso a Schuster), non aveva, ridiciamolo, capito un'acca e conformemente non aveva fatto nulla per «la formazione spirituale del popolo cristiano»; con l'aggravante di aver mantenuto e difeso ed esaltato il suo latino quando a conoscerlo, grammaticalmente, erano pochissimi, erano propriamente i «signori», mentre oggi un po' lo san tutti e quello di chiesa è così facile, specie per gl'italiani; né vi era il sussidio dei «messalini»: quei piccoli messali bilingui (latino-italiano, latino-francese, latino-tedesco, latino-inglese e così via, a fianco o interlineati) che a voi, è vero, non vanno (fatta eccezione, m'immagino, per quello del padre Bugnini...) rappresentando anch'essi un «diaframma tra l'altare e la nave, tra il sacerdote che presiede l'assemblea e l'assemblea stessa», e rappresentavano precisamente, nel più largo senso, il contrario sia perché davan modo ai cattolici di girare il mondo, di entrare in qualunque chiesa, «della lontanissima Santiago del Cile o della Nuova Zelanda», senza sentirsi mai stranieri, sempre sentendosi a casa propria, tra fratelli (lascio a voi la vostra «assemblea») nella chiesa della pro-pria parrocchia; sia e soprattutto perché coi «messalini» accadeva questo, Eminenza: accadeva che, appreso più o meno in breve il significato dei testi (che si ripetono quotidianamente o annualmente), i fedeli seguivano ormai in latino, insieme al celebrante (vi lascio il «presidente»), la Messa, vinti da quell'attrattiva propria del bello che poco fa si diceva e ch'è d'ogni persona normale. «La lingua per cui la Chiesa cattolica si sente una in tutto quanto il mondo...» Proprio così, Eminenza, e vi assicuro che non è una cosa da poco: se non fosse una troppo brutta parola del vostro brutto lessico di riformati vi direi che quello era il vero «comunitarismo».


Ho visto co' miei occhi il contrario l'estate scorsa stando al mare in una città della vostra Emilia frequentata da stranieri proprio di tutto quanto il mondo, tra cui molti cattolici, e quanto mi commoveva gli altri anni il sentirli, in chiesa, alla Messa domenicale, pregar con noi, «unanimes uno ore» in tanta diversità d'accenti, cantar con noi: «Et unam, sanctam, catholicam et apostolicam Ecclesiam», tanto mi ha rattristato, quest'anno, il vederli, accanto e lontani, guardarci muti, smarriti, stranieri - in una parola - anche lì pur se a contatto con noi di gomito, quelli che non eran rimasti fuori. La Messa, infatti, quest'anno, non era «nella lingua di tutti»: era in italiano, e questo era davvero il «diaframma», più isolante delle colonne, dei pilastri, delle navate... Parlavo con un ex-ufficiale inglese già prigioniero in Germania e mi diceva che il filo spinato e il muro di cinta e le sentinelle non gl'impedivano, la domenica, di sentirsi libero, fra i suoi, sentendo il cappellano tedesco segnarsi, in latino, e dire Introibo ad altare Dei... come il suo parroco di Londra. Ho anche presenti, e non le scorderò mai, le lacrime di un'anziana signora che dal protestantesimo s'era convertita al cattolicismo proprio o soprattutto per questa sua «splendida unità», e ora ... !


«Ut unum sint», e si è cominciato col distruggere l'«unum sunt».


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InHocSignoVinces
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Re: LA TUNICA STRACCIATA - Tito Casini

Message par InHocSignoVinces »

MARTA E MARIA


L'unità, di fatto, è cessata, e dietro quella di lingua fra paese e paese è caduta quella dei cuori fra quelli di uno stesso paese, di una stessa parrocchia, di una stessa comunità religiosa, di una stessa famiglia... Non oso chiedervi, Eminenza, se fra i vostri confratelli ci s'ami più come prima, ma voi sapete che non è certo così fra il clero, fra i «preti nuovi» e i preti di sempre; delle aperte ribellioni di popoli al vostro «cambiamento di religione»; delle risse, e tumulti scatenati dalla «vostra» messa fra quelli che non «un muro ed una fossa» ma le pareti di una stessa chiesa serravano: in Belgio, in Francia, in Alto Adige (per restare da noi) o nell'Istria, dove la Messa, fin qui, detta «nella lingua di tutti», era la sola cosa che tutti unisse, e ora, «nazionalizzata», acuisce e invelenisce i nazionalismi in contrasto, al punto di richiedere la presenza, fra quelle sacre pareti, della pubblica forza, delle armi, e il vostro «andate in pace» significa, di fatto: «Andate a dirvele e darvele fuori di chiesa».


Vedete come non s'amano, potrebbero dir di noi gli odierni pagani, ed è fra i tanti il peggior frutto e il più delusivo di una Riforma lanciata, in nome del «comunitarismo» (termine assai più prossimo a comunismo che a comunione, la parola cattolica), all'assalto di «ogni diaframma» all'abolizion delle «caste».


Forse - il profeta perdoni all'asino anche questa forse a un'intenzione rettissima sono mancate o non han soccorso adeguatamente meditazione e pre-ghiera: meditazione, per intendere quanto fosse «tragicamente ridicolo» (parole di un degnissimo vescovo che mi ha scritto fra gli altri) «che un secolo sfasato e di poca fede come il nostro pretenda di fare scuola a diciannove secoli tanto più cristiani»; preghiera, pietà, che se a tutto è utile, qui esigeva ginocchi in terra fino al callo. «Io più credo agli orazioni che alle medicine», scriveva nella sua umile fede «colui che nuovo Olimpo alzò in Roma a' Celesti», dico quel buon uomo di Michelangelo: e mi pare che lo stesso si potrebbe dire, lo diceva già il Bernanos, delle «riforme»: «la Chiesa ha bisogno di santi più che di riformatori»: ha bisogno di Maria, più che di Marta, ed è precisamente il contrario di ciò che oggi si pensa e si predica, come se Gesù avesse detto: «Maria, Maria, tu preghi troppo!» e lodato l'altra... Caro santo papa Giovanni, che a chi gli vuol dimostrare come il cresciuto lavoro richieda, oggi, un certo sacrifizio dell'ora-zione a pro dell'azione, risponde tirando fuori la corona e dicendo: «A me mi c'entra di dirlo intero tutti i giorni», e nella «poca voglia di pregare» vede la sola o la prevalente ragione per cui gli si chiede di abbreviar l'Ufficio divino: cosa che voi concederete in misura più larga ancora della domanda, riducendo di tre le sette «ore» davidiche («Septies in die laudem dixi Tibi»), con l'abbandono di altrettanti bellissimi inni e la mutilazione del Salterio, che non si dirà più integralmente... salvo da quelli, sacerdoti e laici, che proprio in vista dell'aumentato lavoro pensano di dover semmai aumentar la preghiera, e fanno ancora la loro Praeparatio ad Missam, la loro Gratiarum actio post Missam, sebbene non le trovino più nei vostri riformati messali.


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